Parallele incidenti
il LATO DEL CERCHIO - 1 DICEMBRE 2018
Mi è capitato di vedere un polacco ubriaco di vodka impegnarsi stoicamente ad infilare un pantalone come maglia. La scena sarà durata venti minuti circa, sarebbe potuto essere un trailer di un film di Tarkovsky sulle avversità di una vita mal interpretata, la lotta contro l’incomprensione e l’ostinazione della ricerca di ciò che non esiste, nella fattispecie il buco per la testa. Avrei prenotato l’anteprima di quel film.
Era il sotto di una tuta grigia. L’uomo calvo sembrava un astronauta fuori forma: seduto sul divano vacillava con il busto imbevuto di alcol come se tutto il corpo, ad eccezione del bacino, levitasse in assenza di gravità. Quando il cranio paonazzo riemergeva dai pantaloni l’espressione era calma, fiduciosa in una riuscita, occorreva solo trovare il metodo giusto per centrare l’uscita. Quella pazienza frustrante toglieva comicità alla situazione; l’impresa ridicola dopo i primi cinque minuti diventava epica, tanto da indurre a credere che i pantaloni fossero stati mal pensati. Ogni volta che incanalava le mani nelle gambe dei calzoni il viso serio concedeva una smorfia di soddisfazione: gli occhi e la bocca si muovevano in sincrono come collegati da fili invisibili, e mano a mano che il sorriso si allargava le palpebre scendevano collaborando ad una mimica sorniona che diceva -infilate le “maniche” il più è fatto-. Ma per quanto il cranio spingesse a sformare il tessuto i pantaloni non partorirono mai la testa.
Non occorre essere ubriachi per fraintendere la situazione dopo una serie di coincidenze e scontrarsi ostinatamente contro gli eventi cercando di forzarne il corso. Spesso affinché le cose funzionino non basta siano quasi perfette e fino a che non si tira fuori la testa si corre sempre il rischio di averla al posto del culo.
Era il sotto di una tuta grigia. L’uomo calvo sembrava un astronauta fuori forma: seduto sul divano vacillava con il busto imbevuto di alcol come se tutto il corpo, ad eccezione del bacino, levitasse in assenza di gravità. Quando il cranio paonazzo riemergeva dai pantaloni l’espressione era calma, fiduciosa in una riuscita, occorreva solo trovare il metodo giusto per centrare l’uscita. Quella pazienza frustrante toglieva comicità alla situazione; l’impresa ridicola dopo i primi cinque minuti diventava epica, tanto da indurre a credere che i pantaloni fossero stati mal pensati. Ogni volta che incanalava le mani nelle gambe dei calzoni il viso serio concedeva una smorfia di soddisfazione: gli occhi e la bocca si muovevano in sincrono come collegati da fili invisibili, e mano a mano che il sorriso si allargava le palpebre scendevano collaborando ad una mimica sorniona che diceva -infilate le “maniche” il più è fatto-. Ma per quanto il cranio spingesse a sformare il tessuto i pantaloni non partorirono mai la testa.
Non occorre essere ubriachi per fraintendere la situazione dopo una serie di coincidenze e scontrarsi ostinatamente contro gli eventi cercando di forzarne il corso. Spesso affinché le cose funzionino non basta siano quasi perfette e fino a che non si tira fuori la testa si corre sempre il rischio di averla al posto del culo.
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