L’oceano al di là del mare
il LATO DEL CERCHIO - 4 APRILE 2019
La prima volta che vidi il mare dentro il cassetto pensai ad una piscina. Venivo dall’autostrada, cinque ore prima si era conclusa l’infinita stagione come lavapiatti. Ero abituato al lavandino, a vedere l’acqua circoscritta dalle sponde e concepirla in un flusso verticale rubinetto-scarico. Quella carta disegnata di onde, che rivestiva il cassetto, non mi fece pensare al mare ma ad una vasca: l’immaginazione era ancora rinchiusa dagli argini. Lasciai vuoto il cassetto allagato e riempii gli altri. L’idea di mare affiorò lentamente, attratta in superficie dalle maree successive, fino a galleggiare libera e trasparente. Ogni giorno quella piscina si allargava, il fondale diventava più profondo, le sponde distanti tra loro: la scala di rappresentazione si stava restringendo e la mente ampliando; trasformai quella pozza in un acquitrino, poi in un lago, e infine nel mare, tanto che divenne impossibile tenere chiuso il cassetto. L‘acqua placida stampata iniziò a sciabordare, a riflettere la luce ondulando il soffitto, e si fece strada in me l’idea di abbandonare la riva per conquistare il vasto pensiero sconfinato.
Sfilai il mare dal mobile, lo posai sul tappeto cercando di non far strabordare l’acqua, e mi tuffai.
Mi ritrovai in piedi dentro un cassetto, schiantato contro la consistenza del pavimento invece che naufrago nel pensiero fantastico. Deluso da un mare asciutto, riempii il cassetto di biancheria e vi chiusi i miei sogni, promettendo di non immergermi più in quel delirio.
Il mare non divenne mai oceano, ma da allora faticosamente trattengo le immagini dal condurmi nell’immaginario. Mi sono abituato a portare calze umide e mutande secche di salsedine, ed aprendo quel cassetto mi chiedo ancora se a confinare con il mare ci si abbronzi quanto a vivere sull’oceano.




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