Il Veterinario
il LATO DEL CERCHIO - MARTEDÍ 7 NOVEMBRE 2017
- Ehi, ma così non riusciremo mai a capire se bluffa. Sembra Rey Mysterio.
- Keaton, la tua delicatezza è una virtù rara!

» Dai, ragazzi, non infierite. Ci manca solo un nuovo soprannome umiliante.

- Perché?, Smilza non è il tuo cognome?
- No!, non ti abbiamo mai detto da dove viene? Raccontaglielo!

» Dai, Sid, questa storia ormai è leggenda. Volevo pure farla pubblicare nel Bollettino ma Mark non vuole. Dubito tu abbia conosciuto Mark, è mio fratello gemello, vive in Europa e capita raramente da queste parti. L’unica cosa che abbiamo mai avuto in comune è stata la placenta di nostra madre e l’aspetto. Siamo identici ⎯ lo eravamo fino a prima dell’incidente, le cicatrici sono sempre state i soli particolari a distinguerci. Mia madre tornò in Italia subito dopo aver partorito in Olanda e mio padre non la raggiunse mai con la scusa di avere degli affari negli USA. Ci separarono come si fa con le cucciolate, quello più promettente se lo tiene la madre. Dai, scherzo!, non è stata mai così tragica. Siamo rimasti tutti in buoni rapporti e ci si vedeva sempre in estate. Sapete di quel comix per bambini pubblicato in italia?, “Topolino” si chiama, è il fumetto italiano di Mickey Mouse. Una volta gli feci credere che unendo tutte le parole in grassetto delle vignette si poteva ricostruire un messaggio segreto mandato dalla redazione ai bambini più intelligenti. Ci perse una settimana dopodiché mi assestò un pugno sotto il costato così improvviso che non riuscii a tirare nemmeno un muscolo e finì per spappolarmi la milza. Subii una splenectomia in un ospedale pubblico italiano e la cicatrice che mi rimase fu il primo segno di riconoscimento a distinguerci, assieme al soprannome che mi affibbiarono: Smilza.

- Non lo sapevo! Pensavo fosse il tuo cognome.
- Aspetta, Sid, non finisce qui. Continua, Smilza.

» Beh lasciai la mia milza in Italia assieme a Mark, per essere precisi si chiama Marco, ma io l’ho sempre chiamato Mark, dai!, è più bello. Mi promise che se avessi voluto la sua milza me l’avrebbe ceduta in qualsiasi momento, la cosa sarebbe stata anche possibile dato che condividiamo lo stesso corredo genetico, ma preferii farlo sdebitare con un servizio più interessante: Mark divenne la mia milza in Italia, il mio alibi all’estero. Qualsiasi cosa progettavo di fare facevo preparare da Mark un quadretto perfetto che mi ritraeva in villeggiatura in Italia con tanto di video, foto, documenti e testimoni. È così che divenni interessante per il Covo: ero l’unico a possedere il dono dell’ubiquità. Mi specializzai nel procurare passaporti falsi. Beh fino a poco tempo fa, ora l’unico me riconoscibile non sono io.

- Pazzesco!
- Già, che sfiga, probabilmente se avessi perso una gamba non sarebbe cambiato molto, ma con una nuova faccia non potrai più sfruttare il tuo gemello.

» Poco male, ho una mezza idea di cambiare lavoro. Anche se per ora con la faccia bendata potrei solo propormi come mummia in un parco degli orrori.

- Infatti!, credo sia contro il regolamento avere la faccia coperta.
- Finiscitela, Keaton, non siamo in un torneo professionista. Quando ti toglieranno le bende?

» In realtà potrei già togliermele, ma preferisco avere una faccia anonima, ancora non sono pronto a mostrarmi in giro.

- Già, pensavamo fossi morto nell’incidente!
- Sid ha ragione, dov’eri finito? Saremmo potuti venire a trovarti all’ospedale!

» Non era un ospedale in cui far visita.

- Non potresti toglierle solo per il tempo di una partita? Poi te le rimetti.
- Keaton!

» Ve lo assicuro, se togliessi le bende comunque non riuscireste a guardarmi, ho una faccia totalmente diversa.

- Non starlo ad ascoltare, Smilza. Siamo contenti di rivederti.
- Sì, amico, sarà bello riaverti nella squadra. Sei pronto a riprendere?

» A dire il vero no, ve l’ho detto, sto pensando di cambiare lavoro. Dai, uno spacciatore di identità false senza una faccia non è credibile.

- Vogliamo iniziare la partita?
- Ah, forse hai ragione. Hai in mente un’alternativa?

» Sì, ho dei progetti. Voglio aprire un ambulatorio veterinario.

- A chi sta dare le carte?
- Eh!, un veterinario? Ma è assurdo!, nemmeno ti piacciono gli animali.

» Dai, perché no! Sono entrato in società con un professionista.
- Allora?, dov’è andato Sid?
- Un professionista?, chi sarebbe?

» Sicuramente ne hai sentito parlare, è stato famoso per un certo periodo.

- È andato in bagno.
- Avanti, Smilza, non fare il misterioso!, chi è il tuo nuovo socio?, il Veterinario.

» Dai, Everett, basta con questi nomignoli. È un dottore.

- Ti sei lavato le mani?, il mazzo è nuovo.
- Dottore? I veterinari non sono dottori!

» Non è veramente un veterinario.

- Vogliamo giocare!
- Datti una calmata, Keaton, hai fretta di perdere? Racconta!

» Tempo fa ho letto un titolo sul “Bollettino del Paradosso” del Wisconsin: l’uomo più vaccinato del paese è stato investito da un tir all’incrocio fuori dall’ospedale. Dai, capito?

- Cos’è questo “Bollettino”?
- Un giornaletto cretino dove raccolgono tutti i casi più assurdi capitati agli sfigati. Ogni stato ha la sua redazione.

» Dai, lasciate stare il Bollettino, capito cos’è successo?, quel tipo era praticamente immune da qualsiasi malattia, poteva girare spensierato per il mondo, ma alla prima curva si è trovato faccia a faccia con il muso di un Peterbilt 389, una carezza cromata a 60 km/h. Dai, pazzesco! Secondo me ti frega l’ottica monofocale. D’accordo, magari il cannocchiale arriva a vedere più lontano di un binocolo, ma ti costringe a tenere un occhio chiuso. Avete visto cos’è successo al Miller Park lo scorso weekend: Thames era teso come un filo da pesca e la palla aveva praticamente abboccato. Immaginate: traiettoria calcolata, guantone infilato, palla avvistata, sei pronto a prenderla e all’improvviso ti arriva la mazza del battitore dritta in testa. Perché?, perché gli occhi erano solo sulla palla. In prima base ti serve un binocolo non un cannocchiale, se ti concentri su un singolo dettaglio perdi l’insieme, è così che ci si becca una mazza volante in testa.
Beh, più o meno mi è capitata la stessa cosa: Hammond White, o meglio Qualcosa Martínez, era uno dei tanti passeggeri bisognosi di un nuovo passaporto, il Covo mi aveva incaricato di procurargli una nuova identità, patente, assicurazione sanitaria, carta di credito collegata ad un conto in banca, una pistola… le solite cose. Dai, un lavoretto piuttosto semplice, un viaggio sicuro, soldi facili e per una buona causa. Non serviva nemmeno scomodare Mark. Senonché quel bovaro fetente figlio di un coyote non era affatto un povero emigrato qualsiasi, ma un sicario del Cartello messicano chiamato direttamente dal Canaglia per fare un lavoretto. Dai, capito?, un fottuto assassino messicano. Bè l’ho scoperto solo dopo.

- Non bisogna mai fidarsi dei messicani.
- Ok, ok, interessantissimo, ma cosa c’entra tutto questo con il Veterinario?

» Everett, ti ho detto di non usare nomignoli. E comunque adesso ci arrivo. Avete sentito di quell’investigatore francese?, si è travestito da prete ed è andato a Lourdes a confessare i pellegrini. Poi li ricattava con i loro segreti. Non doveva far altro che registrare il racconto spontaneo dei peccatucci di quei poveri disperati troppo ingenui per diffidare di un colletto bianco. Dai, è sempre lo stesso discorso: ti focalizzi su un particolare e trascuri tutto il resto. Un vestito da prete in un luogo sacro e non ti accorgi della fede al dito.

- L’abito non fa il monaco.- Continuo a non capire cosa c’entri tutto questo con il Vete ⎯ . Con il tuo socio.

» Dai, Everett, ti sto cercando di spiegare come mai sono finito nel braccio di ponente.

- Ti hanno rinchiuso a ponente? Brutta faccenda.
- L’hai incontrato lì?

» Condividevamo la stessa cella.

- Come diavolo sei finito tra i criminali veri?
- Già, un passaporto falso è da levante.

» Everett, stavo cercando di spiegartelo, non mettermi fretta! Ti ci vorrebbe quel pendolo esposto al Museo della Meccanica: ha una rotella leggermente più grande del normale, quel tanto che basta per rendere gli ingranaggi lenti rispetto allo scoccare dei secondi istituzionali. Con quelle lancette un anno ne dura almeno due.
Comunque, mi ritrovo all’uscita del gate con in mano un foglio di carta su cui avevo scritto Hammond White, chiedendomi se avessi dovuto scrivere Martínez o come diavolo si chiamava il messicano. Dai, insomma ero lì insieme ad altri cinquanta taxisti ognuno a cercare di riconoscere un uomo mai visto, tentando di interpretare un cenno che non fosse una smorfia per la stanchezza tra quei volti stropicciati. Mentre mi chiedevo perché non mi avessero fornito una foto del passeggero da ritirare, un personaggio si piazza davanti a me tamburellando con le dita sul foglio che tenevo in mano, poi indicandosi dice “Soy Hammond White”. A ripensarci mi viene in mente quel poveretto cacciato dagli alcolisti anonimi perché alla prima seduta si presentò al gruppo. Dai, capito?, sarebbe potuto passare per Hammond White solo agli occhi di uno sbirro cieco sordo e portoricano anche, non faceva il minimo sforzo di sembrare altro da un messicano clandestino. Mi diede l’impressione di essere un attore di soap opera. Quelle latine tipo “Il vento della vita”. Aveva lo sguardo da protagonista, uno di quelli immortali ormai incapaci di distinguere la vita reale con le stagioni televisive, e che sembra sempre recitare anche al di fuori dal set. Al posto dei baffi si era lasciato delle virgole pelose ai due estremi della bocca sottile e larga, troppo appiccicata al mento, il naso era appena percettibile sotto gli occhiali dalla montatura dorata e lenti riflettenti, e aveva foltissime sopracciglia nere come la pelle abbronzata artificialmente. Nel complesso l’unica cosa a non stonare con il cognome falso erano i denti rifatti, tanto bianchi da confondersi con la cartina della sigaretta senza filtro stretta in bocca.
Beh, sta di fatto che, sebbene io non l’avessi mai visto, a quanto pare lui mi conosceva. Lì per lì non mi sembrò una cosa preoccupante, qualcuno doveva avergli fornito una mia foto in modo da potermi riconoscere. Dai, ero convinto di prelevare un immigrato messicano, un poveraccio in fuga da un paese di disagiati, per cui non mi feci insospettire dalla cosa, e non notai nemmeno i tatuaggi del Cartello sulle nocche goffamente coperti da alcuni anelli d’oro. La mia attenzione era tutta sugli abiti trasandati e la valigia di tela logora che caricai nel bagagliaio della macchina. Mi fermai in uno di quegli spiazzi che si creano prima che la carreggiata si biforchi, volevo consegnargli al più presto la nuova identità prima di incontrare chicchessia, quando si tratta di messicani basta presentarsi una volta con un nome sbagliato per rischiare grosso. Dalle nostre parti straniero è sinonimo di sospetto. White non fece molta attenzione ai documenti, invece controllò la pistola accuratamente e dopo avermela puntata addosso disse “Adiós, amigo”. Ed ecco la mazza che sta per abbattersi sulla mia tempia. Fissando la canna da ragazza della Millennium mi si palesarono tutti gli indizi fino a quel momento ignorati.
Una volta ho sentito la storia di un tipo in grado di prevedere il futuro, ma incapace di anticiparlo. Per cui non poteva far altro che subire le situazioni senza il brivido della sorpresa. Più o meno mi sentivo allo stesso modo: indovinavo cosa sarebbe uscito dalla canna e dove sarebbe andato a conficcarsi, ma non riuscivo ad evitarlo. Quando finalmente distolsi gli occhi dagli unici particolari che mi ero imposto di vedere iniziai ad accorgermi di tutto: la lingua sul ghigno scarlatto, i denti lisci, le bollicine di saliva sulle gengive consumate, e l’espressione che diceva in uno sguardo “no entendiste nada, cabrón”. I suoni ovattati, lo sfrecciare dei veicoli filtrato dai finestrini come il brusio confuso di centinaia di tifosi allo stadio, ondeggiavamo ogni volta che un tir ci passava a fianco. Poi la mazza si schiantò con l’impatto di un motociclista sparato a trecento all’ora attraverso il portellone del bagagliaio. Osservavo i vetri schizzati nell’abitacolo fluttuare morbidamente come all’interno di un liquido denso, mi parve persino di distinguere la faccia del motociclista dentro il casco nero. Si schiantò contro il cranio di White aprendolo più facilmente di una palla da bowling lanciata su di un cocomero maturo e smarmellò ovunque la polpa cerebrale. Mi ritrovai incastrato tra due corpi inerti, la pelle ruvida della tuta imbottita del motociclista mi premeva contro la guancia otturandomi l’orecchio destro, mentre dal sinistro, schiacciato contro il finestrino gelato, sentivo gli spari continui della Millennium del messicano ed ero così malconcio da non riuscire a capire se mi stava colpendo. Quando finì il caricatore e rimase solo il “click” spasmodico del grilletto capii che era morto. L’odore di benzina saliva dal cruscotto trivellato dai proiettili e intorpidiva i miei pensieri affondandomi in un sonno cosciente. Poi tutto prese fuoco.
Mi sono svegliato dopo qualche giorno all’ambulatorio medico del Liberty’s Gate, in stato d’arresto per il duplice omicidio colposo avvenuto a causa della mia sosta in una zona vietata. Dai, capito!, praticamente quel parcheggio abusivo mi aveva salvato la vita per poi chiuderla dietro le sbarre del braccio ponente. E questa è la seconda lezione da imparrare: mai diffidare della propria sorte. Ricapitolando: mi becco un killer messicano che riesce quasi ad uccidermi - destino avverso - poi un motociclista spericolato si sacrifica per salvarmi la vita uccidendo il sicario - ottima sorte - mi viene imputata la responsabilità della morte del signor White e del centauro, finisco direttamente in galera a causa dei miei precedenti, della pistola non registrata e dell’identità sospetta del migrante - fortuna iellata - mi mettono in cella con uno dei serial killer più apatici della storia americana, il quale mi prende in simpatia - finale positivo di tutta la storia - anche se non sembra. Vedete, capitano cose che lì per lì giudichiamo avverse, poi col tempo si rivelano necessarie per un futuro promettente, e così quegli episodi sfortunati risultano essere stati una fortuna con il senno di poi.

- Sì sì, però mentre racconti, gioca!
- Ho capito, ma non dicevi di essere in cella con il Veterinario?, cosa c'entra il serial killer?

» Avete sentito parlare del Mattatore? Qualche anno fa era su tutti i giornali del mondo. Dicono fosse un chirurgo non troppo bravo a tenere in vita le persone, ma con un’esperienza talmente raffinata da riuscire a rimarginare le cuciture senza nemmeno un punto di sutura. Dai, non ve lo ricordate?, i giornalisti più sagaci dicevano che se fosse stato il medico di Frankenstein, il mostro avrebbe avuto un aspetto migliore di Mickey Rourke. Il suo crimine consisteva in un proficuo traffico di organi prelevati ai propri pazienti con il loro tacito consenso, e fino a qui è quasi un crimine civile. I tabloid resero il personaggio grottescamente famoso perché i crimini erano svolti con una fantasia da graphic novel. Dicono che tutti gli organi estratti dai pazienti venivano cuciti dentro un unico cadavere insieme a sacche di ghiaccio per conservare la merce il tempo necessario a riesumare il cadavere la sera del funerale. Il suo prezioso deposito era la macelleria proprio di fronte all’ospedale, lo stesso spaccio in cui il commissario di polizia capitava ogni venerdì a chiedere gli ossi per i cani antidroga del dipartimento. Con la ricetta giusta potevi portarti a casa parti di maiale umano, per questo il Mattatore. La cosa curiosa, per uno che non ha ancora capito come va il mondo, è la completa noncuranza nelle indagini sulla clientela del macello. Questa trascuratezza, a mio parere, giustificherebbe la straordinaria rapidità con il quale si è chiuso il caso e l’imprevedibile pena di soli quattro anni di carcere, nonostante l’infinita montagna di cadaveri svuotati. Qualcuno deve essersi comprato il suo silenzio in cambio di pochi anni di reclusione. A ponente c’erano diverse ipotesi sul suo conto. Mi è venuta fame!

- Si anche a me. Ordiniamo delle pizze?, vi va?
- Si buona idea. Ma cosa c’entra questo Mattatore con il Veterinario?, eri in una cella da tre?

» No, Everett, e finiscila con i soprannomi! Sid, prendi anche le patatine. Quando arrivai al Liberty’s Gate, il Mattatore stava scontando gli ultimi mesi della sua pena e, grazie all’avvocato Raynald, anche a me ne toccarono poco meno. Beh conoscete tutti il braccio ponente, le storie che si sentono raccolgono in ogni bocca un pezzo di verità, ma alla fine ne esce fuori un racconto totalmente inventato. Dai, ero terrorizzato!, e vi posso assicurare una cosa: tutti quelli che dicono di essere usciti illesi da lì, non ci sono mai stati. La prima settimana di reclusione giravo spalle al muro con le natiche così serrate da far scomparire il buco del culo. Invece sorprendentemente l’unico apprezzamento che ricevetti fu quello dell’imbianchino per aver contribuito a tirar giù l’intonaco scrostato. Pensai fosse per via della mia faccia bruciata, invece scoprii di avere un’assicurazione sulla verginità: il mio compagno di cella, il Mattatore. Mai dubitare della propria sorte, finire in cella con uno psicopatico potrebbe sembrare una pessima cosa, invece… nessuno si azzardava a mettermi le mani addosso. Non tanto per rispetto o terrore del serial killer col quale mi accompagnavo, i condòmini del braccio ponente non sono facilmente impressionabili, piuttosto perché ero l’uomo in grado di trovare risposta alla domanda sulla quale tutti i carcerati del Liberty ricamavano sopra ipotesi su ipotesi: per quale assurdo motivo il Mattatore non aveva scelto medicina legale? Avrebbe potuto sbudellare chiunque senza conseguenze. Il gossip è uno dei pochi passatempi concessi ai rinchiusi e probabilmente il più gettonato dalla specie umana. Ognuno vuole sapere tutto di tutti, e quando un personaggio così discreto e introverso come il Mattatore entrò nel club di ponente, la bramosia di conoscenza fermentò tra i pettegolezzi. Tutti conoscevano la storia del dottor. Dirtyglove e la causa del suo incarceramento, e quindi i chiacchiericci si concentrarono più sull’aspetto psicologico del personaggio, mistero molto più curioso e quindi assai più difficile da risolvere. Io ero l’unico al quale il Mattatore rivolgeva la parola e così su di me si riversarono tutte le attenzioni dei nobili signori di ponente. Beh, sapete quale fu la risposta: “Non sopporto il freddo”. Dai, capito?

- Hanno detto che le consegnano tra mezz'ora. Ho preso tre giganti miste. Le patatine le avevano solo in busta, le ho prese lo stesso.
- No, fammi capire: il Mattatore e il Veterinario sono entrambi Mason Dirtyglove?

» È più corretto dire che il dottor. Dirtyglove è entrambi. I giornali gli affibbiarono quel soprannome orrendo, è per questo che gli epiteti non lo divertono. Hai preso anche da bere?

- Si, le bevande sono in omaggio.
- Non è che gli ho affibbiato quel nomignolo a caso, avete aperto uno studio da veterinario! Il soprannome è solo la conseguenza ovvia di questa situazione. Sei uscito di galera e hai messo su un’attività legale con uno sconosciuto senza dire niente a nessuno, tu sei un trafficante di identità che a stento riesci ad accarezzare un essere umano, figuriamoci un animale, per forza di cose il tuo socio dovrebbe essere un veterinario, altrimenti ragazzi, avete sbagliato insegna! Chi si sarebbe mai immaginato che ti saresti messo a socio con il famigerato Mattatore. Si, si, scusami, il dottor. Mason Dirtyglove. Beh, comunque se ce l'avessi presentato prima avremmo evitato di dargli un appellativo. Ma perché uno studio veterinario?

» Non si smette mai di essere un chirurgo. Il dottor. Dirtyglove mi raccontò di un noto matematico che concentrò i suoi intenti nel cercare di risolvere la congettura di Goldbach sui numeri pari: uno dei più vecchi problemi irrisolti nella teoria dei numeri. Quando capì che era irrisolvibile per le sue capacità abbandonò i numeri e aprì un ristorante, attività che inspiegabilmente sembra consolare molte delusioni lavorative. Ci avete mai fatto caso?, persino i giocatori professionisti considerano la ristorazione l’asso nella manica da sfoderare in caso di fallimento. Ad ogni modo, l’ossessione del matematico per i numeri pari non l’abbandonò con le stessa facilità con cui lui lasciò la sua carriera accademica. Ogni tavolo del ristorante era composto da due o quattro o sei coperti, i bicchieri erano sempre due, come le forchette, i coltelli ed i tovaglioli. Ogni piatto di pasta era farcito con venti o ventotto o trentasei maccheroni ed imponeva ai suoi clienti di mangiarli due alla volta o quattro insieme. Lontano dai numeri la sua ossessione degenerò: iniziò a contarsi i peli delle gambe e strappare quelli in eccesso in modo da pareggiare il numero tra la destra e la sinistra, si tagliò i mignoli dei piedi e delle mani per avere le dita pari, fino a che non gli fu insostenibile avere un solo collo e si ghigliottinò la testa. Dai, insomma era per dire che possono vietarti di esercitare, toglierti la licenza, lo stetoscopio ed il camice, ma la medicina è una malattia incurabile, così come la matematica. Se il dottor. Dirtyglove non potrà più usare il suo vecchio titolo, è necessario trovargliene un altro per poter continuare ad operare, prima che perda la testa.

- Tirate fuori i soldi, le pizze stanno per arrivare.
- Fammi capire, Smilza, stai aiutando un serial killer psicopatico da poco scarcerato a non impazzire? Sono queste le conseguenze del braccio di ponente?, ti si è fuso il cervello? Stai aiutando Mason Dirtyglove, il Mattatore, il trafficante di organi, l’uomo che ha ucciso più civili nella storia del Wisconsin e forse del mondo intero, ad arricchire il suo elenco di vittime?

» Dai, Everett, non farmi passare per uno squilibrato!, abbiamo un elenco comune. Io aiuto lui e lui aiuta me. Ora ti racconto: il giorno che uscii dal Liberty’s Gates le guardie mi consegnarono una valigia, la stessa sacca logora che avevo caricato nel bagagliaio della macchina prima dell’incidente. L’avevano tenuta in custodia pensando fosse mia, assieme alle chiavi della macchina, al mio orologio, alle cose trovate addosso a White, e pochi altri oggetti personali. La valigia conteneva alcune orrende camicie semitrasparenti ricamate con fiori ed uno strano portatile non più grosso di un’agenda. Quando lo attaccai alla corrente mi accorsi che l’unico modo di accedere al sistema era inserendo una carta di credito nella fessura laterale, dove solitamente si infilano i CD. Ci infilai la carta di credito che avevo fatto per White, digitai il codice di sicurezza e sulla schermata comparve l’elenco di tutti i membri del Covo, ogni nome accompagnato ad una taglia. Sulla carta si trasferirono i soldi equivalenti alla mia morte ed il mio nome si cancellò. Dai, capito? Hammond White il messicano clandestino aveva l’obiettivo di ucciderci tutti, di estinguere tutti i componenti del Covo.

- È una balla!
- Smilza, non avevi detto che quel messicano era stato chiamato dal Canaglia?

» Già. E sapete quali nomi seguivano il mio?

- Sono arrivate le pizze.
- Quali?

» Buonasera, Mason, la sala operatoria è pronta. Allora ⎯, a chi prendiamo la milza?
« La confidenza è una bella virtù nei giovani quando è sinonimo di spontaneità, non di arroganza.
» Mi scusi, dottore, non volevo mancarle di rispetto. Ho pensato che dovendo lavorare assieme conveniva passare a darci del tu.
« Scuse accettate. Sono abituato ad usare la forma colloquiale solo per mettere a loro agio i pazienti, e visti i miei precedenti le sconsiglio di farne parte.
» ⎯ come mai ha scelto le patatine?
« In caso di avvelenamento i prodotti confezionati sono meno sospetti.
» Ne stavo per mangiare qualcuna anche io. Mi piacciono quelle arrotolate su se stesse, ma se ne trovano poche. Sono più croccanti. Una volta ho letto che la percentuale di patatine di quel tipo dentro i pacchi è sempre la stessa, ed è uguale alla probabilità di trovare mele marce in una cassetta di frutta, così come la stessa percentuale di cellulari difettosi in uno stock. L’articolo concludeva che c’è sempre lo stesso margine di errore in qualsiasi cosa si faccia, sia nell’artigianato, che nell’industria o in natura. Insomma la perfezione è irraggiungibile. Ovviamente se uno non crede nel Divino. Beh, dottore, nel caso delle patatine, dal mio punto di vista quella piccola percentuale corrisponde alla possibilità di successo, non al difetto. Ed è esattamente la stessa cosa che cercavo di spiegare a questi qui: ogni cosa cambia a seconda del punto di vista, dell’ottica con cui la si guarda, o del momento in cui la si considera. Lei cosa ne pensa?
« Grazie a Dio, non ho alcun tipo di fede.

You may also like

Back to Top